L’Ultimo sopravvissuto di rigopiano

Gianpaolo Matrone

Un libro scritto bene, molto bene, troppo bene. È la prima cosa che mi viene in mente quando inizio a leggerlo ed è l’ultima quando, undici ore dopo, arrivo alla fine. 29 capitoli, come le vittime; 11 ore di lettura come il numero dei sopravvissuti!

La tragedia di Rigopiano mi ha colpito perché è accaduta nella mia terra, l’Abruzzo, e per il legame con Roberto, che aveva dato fondo a tutte le proprie energie per dare vita al sogno di lanciare il Gran Sasso, un sogno spezzato da una valanga.

Alla prima uscita di “E poi il silenzio”, docuserie sul disastro di Rigopiano, avevo resistito ignorandolo, per non far riemergere ricordi pesanti come macigni. Nel frattempo avevo letto “Come nascono le storie” di Pablo Trincia e l’avevo molto apprezzato per il suo modo di scrivere e per la sua capacità di fare Storytelling, uno strumento che reputo imprescindibile per chi, come me, lavora nel marketing.

Qualche giorno fa, però, ho ceduto alla curiosità ed ho visto “E poi il silenzio”.

Tra mille ricordi e mille pensieri, è riemerso Giampaolo Matrone, colui che offese il mio amico Roberto a poche ore dalla sua scomparsa. L’ho ascoltato con attenzione, ma quando parlava sembrava dovesse fare zig zag tra cosa dire e cosa non dire. Le uniche persone che mi hanno emozionato, perché non hanno usato giri di parole, sono state: Rossella, sorella di Roberto, e il padre di Marinella. La prima la conosco da quando ero bambino, il secondo non l’ho mai conosciuto, ma è bastato vedere le rughe del suo viso ed ascoltare i suoi silenzi, per capire che il dolore lo tiene per sé senza cercare scappatoie e senza dover accusare alcuno per una cosa che è dipesa da troppi fattori concomitanti, primo fra tutti un evento naturale catastrofico.

Dato che non mi piace dare giudizi affrettati, ho deciso di acquistare il libro di Giampaolo Matrone che reputo un uomo dalla forza di volontà infinita; l’ho fatto per cercare di capire meglio ciò che è accaduto in quelle tragiche ore e per immedesimarmi in chi mentre era in vacanza, ha subito un trauma che lo accompagnerà per sempre.

Tuttavia, leggendo il libro, giunto a pagina 40, ho provato una tale indignazione che, se avessi potuto agire di pancia, così come Matrone aveva fatto con Roberto per sfogare tutte le sue ansie e paure, avrei obietato: Se non sei attrezzato per la montagna, stattene a casa!” buttando all’aria 186 pagine di fatica e bella scrittura che racchiudono una storia che invece merita di essere ascoltata.

È a pagina 40 che lo scrittore parla dello scontro verbale con Roberto e ne parla in termini pugilistici come se chi aveva di fronte potesse infierire su di lui con qualche colpo alla Mike Tyson; in realtà è bene sapere che, nonostante Roberto avesse una bella stazza, non sapeva neanche come si tirasse un cazzotto. Tant’è vero che, essendo un uomo che basava il suo lavoro sulle relazioni umane, aveva in tutto e per tutto schivato gli attacchi verbali di Matrone, con frasi rassicuranti e prive di astio o rancore nei confronti di chi lo stava insultando.

Continuando la lettura, i sentimenti personali svaniscono e lasciano il posto alla comprensione e all’immedesimazione.

L’alternarsi di emozioni tra i momenti di relax e di benessere trascorsi nella SPA, a fare conoscenza con gli altri clienti dell’hotel presenti in quel giorno nefasto, e i momenti angosciosi dell’attesa esasperata dal terrore del terremoto, rende la lettura più coinvolgente e veloce.

Pian piano la voce narrante da semplice e nervosa si fa riflessiva e saggia; quando il buio prende il sopravvento e il tempo si ferma, il protagonista riesce ad apprezzare anche la sola presenza di una voce, in qualche punto imprecisato, che gli comunica che ci può essere ancora vita in mezzo ad una tragedia.

Quando non si sa più se il proprio corpo è vivo o è morto, quando non si sa più se la propria amata potrà essere riabbracciata, allora si scende anche a patti che non avresti mai pensato di siglare, come chiedere di perdere un proprio arto in cambio della vita della propria moglie.

Diciamo che, superati i capitoli iniziali, il protagonista, da personaggio a me poco simpatico, è diventato quasi amico, anzi togliamo il quasi.

Vi sentite che non avete abbastanza o che non siete soddisfatti della vostra vita?

Allora leggete questo libro che induce ad apprezzare quello che si ha, poco o tanto che sia.

Perché Rigopiano, la tragedia di Rigopiano, è una metafora della vita, in quanto, che tu sia soddisfatto o insoddisfatto, che tu sia appagato o meno, quando meno te l’aspetti potrebbe arrivare quel soffio di vento sinistro, che spazza via tutto irrimediabilmente.

Remo Firmani

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